Camminare per Vienna è un’esperienza proteiforme, mutevole. Il centro urbano ruota intorno ad una grossa ferita: quella del 1918. Fine della guerra e crollo degli Asburgo. ‘Il secolo breve’ di Hobsbawn qui è sembrato cortissimo: il rammarico regna sovrano. Ma basta spostarsi fuori dal ring e dirigersi al Leopold Museum: filologicamente, si riprende il discorso dove l’aveva lasciato l’Hofburg, la residenza asburgica nel centro della città. Il Leopold è l’incubatore della Vienna che, diminuita politicamente dal preludio della fine, rilancia alla conquista di una nuova frontiera culturale: «Uno dei tratti caratteristici della vita viennese di quel tempo era costituito dai continui, agevoli scambi tra scienziati e artisti, scrittori e pensatori. L’interazione con gli studiosi di medicina e di biologia, e anche di psicoanalisi, influenzò significativamente la ritrattistica di questi artisti» Ernst Kandel, L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello dalla Grande Vienna ai nostri giorni I nomi della frontiera interculturale? Egon Schiele, Gustav Klimt, Oskar Kokoshka, Sigmund Freud, Artur Schnitzler: ai ponti tra scienze esatte e umanistiche; tra l’essere e la sua interpretazione gettati dai tre artisti e i due medici, è dedicato questo bianco e stilisticamente perfetto parallelepipedo, collettore di un pezzo di storia d’Europa scaturigine di riflessioni sull’uomo e la sua natura attraverso discorsi, letteratura e arte figurativa guardando ciò che è attraverso ciò che si prova, portando alla ribalta del visivo il sentimento, le emozioni, gli impulsi: cadeva l’assioma della razionalità della mente umana. Il percorso espositivo è reso coerente dalla ricostruzione ‘ben temperata’ del mood storico culturale: la narrazione, in alcune sale, lascia spazio alle collezioni di design e all’illustrazione (nasceva in questo periodo il liberty – qui chiamato Jugenstile stile – e con esso l’illustrazione pubblicitaria. Per gli appassionati, davvero bellissimi i manifesti di ispirazione giapponese). L’ideale è andarci di mattina presto: la visita è lunga. Imperdibile pranzare alla cafeterìa del museo (posti che spesso meritano una visita indipendentemente dalla mission culturale!): ambiente tutto vetro a sbalzo -arredato con mobili di materiale moderno, design liberty – su quella che d’estate è una piscina scoperta (qui, il divertimento è cultura). Buonissimo il risotto alle rape rosse guarnito con il rafano. Il suo colore? Rosa candy, stesso colore di sapore freudiano di alcuni dettagli dei quadri di Egon Schiele, in cui la sofferenza dello stare al mondo assume – in alcuni punti del viso e del corpo – questo colore solo apparentemente solare. La foto allegata è una tappa obbligata: pasticceria Heinz. Ambiente deco, vetri di Boemia, poltroncine di velluto rosso, boiserie in legno, farmacopea al cioccolato!
Camilla Paolucci